Il gioco con il pallone rappresenta per molti di noi un’esperienza vissuta intensamente nella propria fanciullezza. Forse non c’è individuo, almeno per quelli di sesso maschile, che non abbia giocato nella propria infanzia per strada, come avveniva una volta, o in situazioni più strutturate, come gruppi sportivi parrocchiali o, più di recente, presso società sportive.
Il pallone ha rappresentato uno strumento di relazione e di coinvolgimento, di amicizie e di litigi. Il canale di coesione era rappresentato comunque dal divertimento, vero motore relazionale ed affettivo. Le lunghe partite terminavano perchè il buio prendeva il sopravvento e, il ritorno a casa stanchi e sudati, non prevedeva certo l’attenzione al risultato ottenuto. Nessuno si ricordava come finiva.
Il cambiamento radicale dell’organizzazione di vita quotidiana ha comportato cambiamenti anche delle abitudini e dei luoghi di gioco. In strada non si gioca praticamente più e, visto il proliferare di società sportive, il gioco con il pallone si è trasferito nelle scuole calcio. Chi oggi ha il compito di istruire dei bambini e di avvicinarli allo sport dovrebbe ricordarsi di garantire divertimento, socialità e libera espressione.
Un bambino, anche se di pochi anni, ha già un vissuto sensazioni, impressioni, delusioni, paure, certezze ed incertezze che deve poter esprimere. Tu, allenatore-educatore nonchè adulto, devi sapere ascoltare ed agevolare la condivisione delle emozioni. Per i bambini, una situazione che li vede protagonisti reali, è contemporaneamente un vissuto emotivo e un occasione di apprendimento. Spetta a te mettere a punto dei percorsi che, attraverso delle proposte di gioco, conducano il bambino dal vissuto reale all’elaborazione del reale, che è un procedimento di tipo simbolico che induce il bambino ad uscire dalla situazione reale per pensarla, per rappresentarla mentalmente. E’ questa l’occasione per il bambino di apprendere le specificità degli insegnamenti.